third soft machine

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Third è, per l’appunto, il terzo lavoro dei Soft machine, considerato uno degli apici della prima third soft machinefase del gruppo, che in quest’opera iniziò a combinare il rock psichedelico dei due album precedenti con elementi fusion e minimalisti.

 

I Soft machine furono uno dei gruppi che si svilupparono all’interno della cosiddetta scena di Canterbury che fu movimento musicale nato nella seconda metà degli anni Sessanta nell’area appunto di Canterbury. La caratteristica fondamentale del movimento fu la capacità di creare una commistione di psichedelia, progressive rock, beat, jazz, avanguardia, spirito hippie e cultura dadaista.

I Soft machine furono quelli che meglio incarnarono lo spirito sperimentale di questo movimento e Third ne è, probabilmente, l’esempio lampante.

Third, che fu pubblicato il 6 di Giugno del 1970,  e` organizzato, analogamente alla parte in studio del contemporaneo Ummagumma dei Pink Floyd, in quattro lunghi brani che rivelano la genialità, la cultura e la qualità di strumentisti di questa band.

In Third la qualità del sound è al di sopra di tutto, non è jazz e non è rock, è qualcosa di completamente nuovo che sfugge alla logica delle etichettature, di grande qualità e decisamente sperimentale. I componenti della band amavano definire la loro produzione come “patamusica”, probabilmente mutuando il termine dalla patafisica, la scienza delle soluzioni immaginarie, di Alfred Jarry.

Fatto salvo quanto scritto fino ad ora in Third comunque è il jazz l’elemento predominante, che finisce per prendere decisamente il sopravvento sulle tutte le altre componenti musicali. Per la realizzazione di questo disco i Soft machine infatti si allargarono per includere illustri strumentisti come Elton Dean al sax alto, Lyn Dobson al sax soprano, Nick Evans al trombone, Jimmy Hastings al clarinetto e flauto e Rab Spall al violino.

Originariamente il disco fu pubblicato come doppio vinile nel quale ogni faccita era occupata da una singola suite.

FACELIFT (Part One – Part Two) (18:45)

La prima suite è composta dal bassista Hugh Hopper ed è la traccia più radicale dell’intero album. La traccia base fu registrata dal vivo al Fairfield Halls il 4 gennaio 1970 ma il risultato finale è frutto di una sorta di collage su nastro dove la band si sbizzarrisce a sperimentare accellerando e rallentando, utilizzando il loop e addirittura riproducendo delle registrazioni al contrario. Il tema jazz è sviluppato in modo davvero geniale sino al finale introdotto dal sax, che include registrazioni di tastiere sovraincise anche al contrario. Non è un brano di facile ascolto, tuttavia risulta fluido nei suoi quasi 20 minuti di durata.

SLIGHTLY ALL THE TIME (Part One – Part Two) (18.12)

Diciotto minuti di musica costruiti su un tema centrale ridotto ai minimi termini sviluppato da Ratledge il quale accosta con successo jazz e minimalismo. Il motivo iniziale viene riproposto di continuo con infinite variazioni, a volte melodiche a volte ritmiche. Da sottolineare lo splendido fraseggio dei due flauti, sapientemente accompagnati dal charleston di Wyatt, che duettando in modo memorabile addolciscono il brano, cogliendo piacevolmente di sorpresa l’ascoltatore. Il brano alla fine riprende ancora il tema principale chiudendo con un finale geniale e inaspettato.

MOON IN JUNE (Part One – Part Two) (19:08)

Con questo brano, l’unico cantato dell’album, Robert Wyatt conferma il suo talento oltre che come polistrumentista (canta, suona la batteria e tutte le tastiere), anche come autore. Si tratta della suite più melodica dell’album caratterizzata dalla variazione melodica continua, dalla batteria che è coprotagonista assieme alla voce e dalle tastiere di Ratledge che fanno un gran lavoro fantasioso. Un brano struggente con un finale delirante, caratterizzato dal suono di un violino dissonante e stridente e sonorità quasi elettroniche. Non bisogna dimenticare che Wyatt è soprattutto un irriducibile dadaista e per questo dissemina lungo il percorso bizzarre trovate surreali e imposta la seconda parte del brano come una incalzante fuga dove gli strumenti, rincorrendosi fra loro, finiscono per creare sonorità impensabili. Il finale è delirante: gli accordi minimali del pianoforte elettrico, il pulsare del basso distorto, le percussioni indiavolate, la spettrale canzoncina canticchiata sottovoce e il lamento di un violino proveniente da un nastro fatto scorrere a diverse velocità creano uno scenario allucinato. Si tratta probabilmente della suite più “visionaria” delle quattro ed è considerata uno dei vertici di tutto il progressive-rock britannico.

OUT – BLOODY – RAGEOUS (Part One – Part Two) (19:13)

Mike Ratledge firma anche l’ultima suite che si apre su una serie di melodie sovrapposte in un intreccio di tastiere. L’atmosfera è inizialmente ovattata con le tastiere che sembrano avanzare verso chi ascolta sviluppanosi sino a giungere a una progressione sempre più’ incalzante caratterizzata dai fiati ancora una volta protagonisti. Il basso e il piano accompagnano le linee degli strumenti a fiato mentre la batteria di Wyatt si lancia in spettacolari evoluzioni. Il brano sviluppa in un crescendo che ha in se una grande tensione che sembra preludere un’esplosione che però non arriverà perchè prontamente ritorna il motivo dell’intro che chiude inesorabilmente il brano e l’intero album.

Come spesso è accaduto specie all’interno delle band di maggiore qualità Third è anche il disco del definitivo addio alla band di Robert Wyatt, che fu uno dei mostri sacri del progressive in generale e che abbe una posizione prevalente per la nascita del sound di Canterbury

Third, in conclusione, è uno dei dischi più importanti di sempre, un’opera che ancora oggi affascina per la sua qualità e sensibilità. L’album in questione inoltre è un vero e proprio capolavoro che esalta la creatività dei Soft Machine facendola emergere in tutte le sue sfaccettature.

Nel 2007 l’album è stato ristampato su CD da Sony BMG con un secondo disco comprendente un album live completo, Live at the Proms 1970, che era stato precedentemente pubblicato da una piccola compagnia indipendente chiamata Reckless Records nel 1988.

Track list della versione originale del 6 Giugno 1970

“Facelift” (Hugh Hopper) – 18:45
“Slightly All the Time” (Mike Ratledge) – 18:12
“Moon in June” (Robert Wyatt) – 19:08
“Out-Bloody-Rageous” (Ratledge) – 19:10

Bonus disc presente nella ristampa Sony del 2007

“Out-Bloody-Rageous” (Ratledge) – 11:54
“Facelift” (Hopper) – 11:22
“Esther’s Nose Job” – 15:39
“Pig” (Ratledge)
“Orange Skin Food” (Ratledge)
“A Door Opens and Closes” (Ratledge)
“Pigling Bland” (Ratledge)
“10:30 Returns to the Bedroom” (Ratledge/Hopper/Wyatt)

Di mancio

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