time and a word

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Nel giugno del 1970 esce Time and a word, il secondo disco degli Yes.

Il 1969 fu un anno d’oro per la musica rock che vide venire alla luce gli album di debutto dei King Crimson, dei Genesis, dei Led Zeppelin e degli Yes.

Tra queste quattro big band degli anni settanta, gli Yes furono quelli che faticarono maggiormente a trovare una loro consacrazione a livello mondiale. Questo accadde non perchè fossero in qualche modo inferiori ai loro diretti concorrenti am perchè all’inizio si trovarono a dover gestire una serie di situazioni che poco avevano a che fare con la creatività e la capacità di comporre ottima musica.

time and a wordIl disco d’esordio, omonimo, tutto sommato non era andato male, ma i guadagni derivanti dalle vendite non arrivavano probabilmente perchè intorno alla band si era formato un ambiente poco pulito. Inoltre la Atlantic, etichetta degli Yes e dei Led Zeppelin, preferì investire moltre delle sue risorse per sponsorizzare la band di Page & Plant per cui anche il tour americano previsto per gli Yes non fu mai organizzato e Squire e compagni dovettero accontentarsi di un tour organizzato in Svizzera.

A fare le spese di questa situazione fu il loro produttore che fu licenziato perchè, seondo la band, colpevole di non aver debitamente perorato la loro causa con l’etichetta.

Per cercare di tenere unita la band, lo storico manager degli Yes Roy Flynn, decise si spostare gli Yes in una fattoria nel Devon, con l’idea che questa sorta di ritiro fosse utile ad avere maggiori ispirazioni per il nuovo album. L’idea fu vincente sopratutto per l’atteggiamento dei membri stessi del gruppo che approfittarono al massimo della possibilità di potersi concentrare sul lavoro senza distrazioni provenienti dal mondo esterno. In questo contesto fu anche deciso di supportare la band con un’orchestra, idea che in futuro sarà più volte ripresa da innumerevoli rock band. Infine vennero presi a bordo due nuovi elementi. Un nuovo produttore, Tony Calton, che però, pur essendo un amico di Jon Anderson,  non riuscì a legare con il chitarrista Peter Banks e Eddie Offord,  futuro fonico degli Yes, direttore musicale della sede londinese dell’Atlantic, nonché grande ammiratore della band.

Come spesso accade nelle grandi band che mettono insieme molti talenti Peter Banks si trovava in contrasto con il produttore e con il resto della band riguardo all’uso dell’orchestra. Inoltre Tony Calton asseriva che le parti di chitarra non erano del tutto soddisfacenti, lui voleva una chitarra come quella di Jimmy Page, che all’epoca non rientrava proprio fra i chitarristi preferiti di Banks. Il resto della band, come era ovvio, non era entusiasta della situazione ed iniziarono a guardarsi intorno finchè, dopo un concerto tenuto al Luton Collage, Jon Anderson  e Chris Squire raggiunsero Banks nei camerini, comunicandogli che era meglio per tutti se abbandonava la band. Sembrava una cosa improvvisa che, in effetti, colse alla sprovvista alcuni membri della band.

La decisione fu presa in quanto durante il tour promozionale dell’album, Steve Howe era già in formazione in pianta stabile, quindi fu per lui relativamente facile per lui subentrare a Banks.

La band, dover riconquistato un pò di serenità, si butta a capofitto nelle ultime rifiniture dell’album. Time in a word esce nel Giugno del 1970 con un buon successo tanto che diventerà il primo album degli Yes ad entrare nella UK album chart.

Il disco si apre con una travolgente cover,  No Opportunity Necessary, No Experience Needed, di un brano di Richie Havens che gli Yes sapientemente mixano con una rielaborazione della colonna sonora del film western The Big Country, pellicola del 1958 diretta da William Wyler, utilizzando ad arte l’organo Hammond. Il tema viene enfatizzato splendidamente e in maniera travolgente dall’orchestra messa su da Roy Flynn, che sarà protagonista dell’intero album.

Questo brano è sicuramente una delle migliori cover reinterpretate nella storia della musica rock nella quale, gli Yes, pur mantenendo invariata la linea vocale hanno saputo intessere una ottima trama, che in origine si basava solamente su velocissime pennate sulla chitarra.

Il brano successivo, Then, si apre con le note dell’organo di Tony Kaye accompagnate dal lavoro sul rullante di Bill Bruford e dallo splendido basso di Squire. Brano piacevole e trascinante, dove la sezione ritmica svolge un grande lavoro e dove iniziano ad affiorare le prime caratteristiche progressive.

La successiva Everydays è un’altra rivisitazione in chiave Yes. Il brano fa parte del repertorio dei Buffalo Springfield, scritta da Stephen Stills. Grazie alle avvolgenti atmosfere swing e jazz dell’introduzione, il brano veniva usato dagli Yes quando si trovavano di fronte platee eleganti, durante le saltuarie serate all’interno dei casinò. La band confeziona un brano si atipico per il loro repertorio ma comunque di gran classe, dove nella prima parte vengono mantenute le calde atmosfere anni sessanta della versione originale, sfociando poi in una esplosione sonora dove imperversano le parti soliste, sfoggiando una tecnica ed una inventiva fuori dal normale e uscendo totalmente dagli schemi della versione originale.

Sweet Dreams è il secondo singolo estratto Time in a word, e proviene dal repertorio degli The Warriors, prima band di Jon Anderson. Nonostante gli strumenti facciano un egregio lavoro si comprende chiaramente che questo brano non è stato partorito da tutto il gruppo.

Il brano che segue, The Prophet, è un brano epico ricco di cambi di tempo e di tonalità, con una forte vena progressive dove, ancora una volta, la parte orchestrale gioca un ruolo determinante.

Il mini brano Clear Days, è fondamentalmente, un assolo di voce di jon Anderson accompagnato dai soli archi. Anderson con questo brano ruba per un paio di minuti la scena al resto della band. Per questo, in origine, Squire e compagni furono un po’ contrariati, affermando che erano in studio per incidere un disco degli Yes e non di Jon Anderson, anche se poi affermeranno che il brano non è poi così male e risulta piacevole all’ascolto.

D’altra parte abbiamo già visto con la vicenda di Banks che gli Yes erano una band composta da forti personalità perennemente alla ricerca di un equilibrio che, ce l’ha insegnato la loro storia, non troveranno mai.

Con Astral Traveller, aperta in fader dalla gracchiante e funckeggiante chitarra di Peter Banks, siamo in pieno territorio progressiva. La ritmica jazz s’intreccia a meraviglia con il potente ed innovativo modo di suonare il basso da parte di Chris Squire mentre la selvaggia rullata di tamburi annuncia l’ingresso di Jon Anderson. Il testo, alquanto fantasioso, racconta la storia di viaggiatore astrale che abbandona la compagna sulla terra e prende il volo verso il cielo, in cerca di risposte e verità riguardo al mistero della vita e della morte. In cerca della fede, vuole scoprire dove vanno a finire i vivi quando lasciano la Terra, volando sopra le verdi valli, facendosi strada fra i pensieri ed i ricordi che aleggiano nel cielo.

Astral traveler è fra i meno famosi della produzione degli Yes ma, come accade spesso, fra i più apprezzati da parte dei membri della band.

Time and a word si conclude con la traccia omonima, che fu anche utilizzata come primo singolo estratto che anticipò l’uscita vera e priopria dell’album. Questo brano fu originariamente concepito come un inno, sullo stile di Hey Jude dei Beatles, e risale, anche questo, al periodo dei The Warriors, scritto a quattro mani dal duo Anderson-Foster. Si tratta di un brano probabilmente sottovalutato da chi deigli Yes ama le grandi composizioni progressive. In effetti c’è una evidente vena pop ma, tutto sommato, si tratta di una canzone con un intelligente inciso che funziona e che si rivaluta ulteriormente nelle esibizioni live.

Time And a Word è un album decisamente più maturo rispetto all’omonimo debutto con l’introduzione dell’orchestra che si rivela la mossa più azzeccata rendendo questo album ricco di sonorità decisamente particolari. Nel disco traspare un’ottima vena compositiva che esalta le altrettanto ottime parti solistiche eseguite tutti i membri della band che, non bisogna dimenticarlo, erano tutti dei musicisti sopraffini.

Per valutare correttamente questo secondo disco degli Yes bisogna avvalersi della stessa teoria usata per il precedente album ossia occorre dimenticarsi per un attimo i futuri capolavori che la band produrrà negli anni seguenti, quando Steve Howe condurrà gli Yes ai vertici del progressive rock. Per chi è interessato in particolare alle origini del progressive è in questo disco che si percepiscono, in alcuni brani non in tutto il platter, i primi chiarissimi elementi della svolta sonora che esploderà definitivamente nel successivo album The Yes album.

time and a wordLa copertina originale uscita in Inghilterra prevedeva un fotomontaggio in bianco e nero rappresentante una inquietante ed oltraggiosa prospettiva di una donna nuda con una farfalle nera sulla coscia destra, che usciva da una stanza oblunga dal pavimento a scacchi.

Per il mercato degli Stati Uniti tale copertina venne ritenuta inopportuna, e fu sostituita con una foto che ritrae la band in vistosi abiti hippie e che vede incluso il nuovo arrivato Steve Howe al posto di Peter Banks, che comunque compare nelle foto interne.

Time and a word è stato ripobblicato dalla Atlantic nel 1989 e nel 1994, versione rimasterizzata. Inoltre la Rhino ha pubblicato nel 2003 una ulteriore versione rimasterizzata contenente tracce bonus.

Track list

Side One

No Opportunity Necessary, No Experience Needed – 4:48
Then 5:44
Everydays 6:08
Sweet Dreams 3:51

Side two

The Prophet 6:34
Clear Days 2:06
Astral Traveller 5:53
Time and a Word 4:31

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Di @4min

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